Gobba?.... Quale gobba?

 
Avanti il prossimo

Cominciamo con l'affermare che il parapendio biposto nasce come mezzo di condivisione di sensazioni altrimenti esclusive.

La vera difficoltà per il bipostista non è volare, del resto si presuppone che ormai lo sappia fare, bensì trovare la maniera giusta per interessare il passeggero al punto di ottenere la sua collaborazione nei due soli momenti in cui la sua peculiare passività deve trasformarsi in giusta e misurata azione: il decollo e l'atterraggio.

Vi pare facile?

Molto spesso le persone che vengono in volo con te sono perfetti sconosciuti che incontri per la prima volta cinque minuti prima di salire in decollo e che sono lì in fila per aver prenotato il volo turistico del fine settimana ed è proprio così che il tuo bagaglio esperienziale cresce e diventa meritevole d'essere raccontato.

Dopo aver ripiegato la vela e raccolto le ultime sensazioni "a caldo" dalla signora che durante il circuito si sbracciava e salutava con urletti e versacci gli amici e i parenti ad attenderla, fotografarla e riprenderla in atterraggio, faccio ritorno alla piazzola dove a minuti si fermerà la navetta per un altro carico.

La signora torna verso di me con un sorriso inverosimile per ringraziarmi nuovamente (certuni lo farebbero fino a notte fonda) e mi domanda: "Posso chiederle dove ha preso quegli scarponcini"?

Ecco, ci risiamo, penso io memore del primo volo alto, eppure questi sono molto più sobri.

"Signora, sono anni che ci convivo".

Poso la sacca e, rivolgendomi ad una trentina di persone agglomeratesi ai tavoli e sotto gli ombrelloni, domando:"Chi è il primo"?

Subito lo schianto di una risata collettiva, un manipolo di ragazzotti che ne additano uno: "Lui, lui è il primo"! Dai che ti crescono le tette, dice uno, ti cresce anche l'uccello fa un altro…e ti vanno via i brufoli grida un terzo.

Dal gruppo viene avanti un 62 chili mingherlino che replica fiero con aria incurante.

"Tanto poi tocca anche a voi"!

La presentazione e subito le domande di rito.

Saliamo sulla navetta e durante la risalita per il decollo gli parlo con l'intento di rassicurarlo, ma a guardarlo bene penso "questo mi si rompe al primo strattone".

Si è rivelato poi essere il migliore e più reattivo del gruppo.

All'aprirsi di un'altra giornata di attività turistica sono lì a tranquillizzare una prosperosa giaguara che ha tenuto gli occhi ben chiusi per tutto il volo seguitando a ripetere con voce tremante :"Ti prego portami giù, voglio scendere, subito, portami a terra, oddio, mai più, mai più…." Se è vero che a molti piace provare è altrettanto vero che non a tutti piace averlo fatto.

E' il turno di un metro e novanta di ciccia, con lo sguardo severo e l'aria di chi non dà confidenza nemmeno ai ragni.

Si avvicina mentre apro la vela in decollo ed esclama: " Belle quelle scarpe".

Lo guardo anch'io con severità e con fare stizzito gli rispondo: "Saranno belle le tue".

Un paio di Nike con i catarifrangenti su ogni lato.

Secondo una mia convinzione, il passeggero non va portato, ma accompagnato in volo, quindi, tutto è rivolto, ancora prima di decollare, alla somministrazione di tranquillità e naturalezza.

Quanto naturali e tranquilli si può essere se quello che hai davanti ti nasconde 180 gradi di visuale, non corre e decide di sedersi sul pendio dopo due passi?

Lì scatta la terapia forzata, il metodo che a molti piace definire induttivo; le ginocchiate nel culo fanno miracoli!

Resta comunque il problema dei 180 gradi mancanti - la soluzione? ….Volare a memoria!

Già, perché quando fai 4 o 5 volte al giorno lo stesso decollo, lo stesso tragitto in volo, lo stesso circuito e il medesimo finale per l'atterraggio ti abitui a riferirti a ciò che vedi alla tua destra e alla tua sinistra.

Il passeggero che sale con me in navetta subito dopo indossa uno splendido paio di indomiti mocassini.

Questa volta sono io a rivolgere la mia attenzione sulle sue calzature e gli chiedo se ha per caso portato con se un paio di scarpe più adeguate alla circostanza, ma lui lo nega e, proprio come se fosse perfettamente a conoscenza di tutta la "storia", mi risponde: "No, non ho altre scarpe, avevo pensato di comprarmi un paio di scarponcini, ma ho rinunciato quando ho visto che sono tutti con troppi colori sopra".

Fortunatamente niente storte in decollo e nessun problema in atterraggio, ma l'esperienza non ha minimamente emozionato né lui, né i suoi mocassini che anzi, probabilmente nel tentativo di aggiungere una curiosa variante alla circostanza, tentavano più volte di sfilarglisi dal piede durante il volo.

La navetta arranca nuovamente su per la strabella verso il decollo. Sono circa 30 minuti di marcia a passo ridotto prima di poter riaprire la vela e ripartire.

Sto imbragando la ragazza che ha deciso di volare per vincere una scommessa con le sue amiche rimaste in atterraggio.

Al primo cosciale inizia a chiedermi: "Senti, ma non possiamo farlo per finta"?

Io rido e le chiedo cosa intendesse esattamente.

Lei: "Ma sì, facciamo finta di partire poi tu ti fermi e scendiamo a piedi - poi diciamo che siamo atterrati in un altro posto per dispetto".

A quel punto avevo agganciato anche il secondo cosciale ed ero alle prese col pettorale.

La guardo negli occhi e le dico con tono rassicurante che nemmeno io, in effetti, me la sarei sentita di partire e che quello era il primo giorno che mi avevano messo a fare biposti.

Le dico anche che, fino a quel momento dalla mattina, era andata abbastanza bene e che solo un idiota avrebbe insistito sfidando la sorte.

Infine le dico: "Se anche tu sei d'accordo facciamo la finta di partire e poi seguiamo il tuo piano".

Con il decollo alle spalle e ormai 20 metri d'aria sotto al culo lei esclama: "Ma non ci siamo fermati"!

Ed io: "Ehm, ci ho provato, ma come ti ho detto non sono ancora molto pratico e non ci sono riuscito, poi questo coso va via spedito come un treno".

Appena un minuto dopo era esaltata dal volo e contentissima ma troppo preoccupata della mia ostentata incompetenza; ho faticato non poco per convincerla che stavo solo scherzando.

A terra non faceva che pavoneggiarsi con le amiche e non le interessava neanche più aver vinto la sua scommessa.

Questa ragazza ora mi chiama, più o meno regolarmente, una volta al mese per venire a volare e senza amiche o spettatori al seguito.
Ce ne sarebbero altri cento da raccontare, tutti validi esempi di umanità con le ali, tutti con motivazioni differenti.

Pochi di loro saranno capaci di commuoversi per ciò che hanno fatto e di ricongiungersi alla propria ombra con un pensiero radicalmente diverso, ma questo aspetto, tutto sommato, non mi riguarda e non devo dispiacermene.


Alessandro Guerrini [Bronschhh]
Pilota VDS